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La provincia bresciana, un territorio tutto da scoprire…

Grande, estesa, specie in senso longitudinale, si parte dalla Bassa, quella delle nebbie invernali e del caldo estivo, si passa dalla zona dei laghi, dove, singolare a queste latitudini, si coltiva l’olivo, si producono oli buonissimi, compaiono anche gli agrumi – sia pure grazie all’artifizio umano delle limonaie… -, si arriva alle valli, ai nostri monti, con i loro giacimenti di formaggi che sanno d’erba profumata. È la nostra provincia, ricca di prodotti, di ricette, anche se per buona parte di noi, immaginatevi per chi viene da altre zone, capace di esprimere unicamente una cucina povera, quasi dimessa, fatta di pochi piatti celebri, sempre quelli per lo più. Eppure, eppure basterebbe già prendere atto che, l’esempio più facile, lo ammettiamo, ogni zona, molte località hanno paste ripiene completamente diverse: spesso ciascuna di essere si prende il merito di essere la prima, l’unica, quella che le fa più buone. Esistono paesi dove, lo si scopre in occasione di una festa, di una sagra, quasi ogni strada, ogni famiglia ha una propria, personalissima, ricetta. Certo le varianti sono talvolta minime, una spezia, l’aggiunta di un’erbetta, una «grattugiata» di un formaggio diverso, ma bastano a dare ai nostri «cašonsèi», gusti sorprendentemente particolari.

Un territorio tutto da scoprire… Talvolta a noi ristoratori, ostesse, osti, più che la voglia o l’interesse manca fisicamente il tempo, rimaniamo così sorpresi, come può capitare a voi, nell’imbatterci in un salume, pensate alla camuna bèrna, carne di pecora stagionata, all’ancora camuno fatulì, a verdure che hanno fatto la storia della nostra bassa, e riempito pance e borselli nella stagione più rigida, come le raìs, ora riscoperte per le loro non poche virtù nutrizionali. Pensate a vitigni locali che, snobbati per decenni, ora tornano alla ribalta, valorizzati da approcci moderni, dimenticati o sottovalutati a tal punto da non essere più riconosciuti: il Marzemino del Montenetto – Ma come non è trentino?  Lo si coltivava lì, in quel cumulo di argilla che si stacca dalla pianura già nel ‘500, come bene precisa Agostino Gallo, agronomo dell’epoca – il Groppello della Valtènesi che se da ottime uve ben vinificate è capace persino di affrontare il tempo, prendendo profumi e sentori da Pinot Nero…

Ci proveremo, ci stiamo provando, a riscoprire, a scovare, noi per primi, noi per voi, piccoli grandi tesori del bresciano, senza diventare talebani, senza «chiuderci dentro», consapevoli che il tempo passa, che non ci si deve fermare, ma anche che viviamo in uno spazio unico, che ignorare sarebbe peccato.