Lo spiedo scoppiettando di Gussago, Edizione 2019

La decima edizione de Lo spiedo scoppiettando, inizierà alla fine di settembre e finirà quasi alle porte dell’inverno. Minestra sporca, non si spaventino i non bresciani, a «sporcarla» qualche rigaglia di pollo, poi pastina come i risoni o i semi di mela (più giù, nella nostra Bassa compariva il riso), giusto una «fondina» a scaldare lo stomaco e prepararlo per lo spiedo, quello a De.Co. (Denominazione Comunale) di Gussago: coppa o lonza, costine – gli uccellini presenza di altri tempi, altre leggi e sicuramente una diversa percezione dell’ambiente e dei suoi abitanti – fettine di lardo, salvia, sale, generoso burro, altrettanto generoso tempo per regalare, dopo 4-5 ore di cottura, un piatto «morbido internamente e croccante esternamente, di colore dorato-ramato… Servito caldo, abbinato con la polenta e con l’unto rimasto dalla cottura che viene portato in tavola in un apposito contenitore per essere versato in un secondo tempo sulla polenta e sulle carni» come riporta il relativo Disciplinare. A «pulire» un bicchiere di buon rosso, magari locale, un Cellatica, un Botticino, ma anche il citato Groppello della Valtènesi. Un dito, in orizzontale, non cadiamo nell’arcinota battuta, di buona, buonissima grappa gussaghese.

E per i puristi che scuotendo il capo dicono che no, lo Spiedo, quello vero, bresciano, con la S maiuscola, è ormai finito, passata reliquia, che orbato degli uccellini a dare, dato incontestabile, quell’inconfondibile tratto «amarì», non ha più senso, ragione d’essere, ricordiamo che spiedo è modalità di cottura, strumento, ancora prima che ricetta. Che allo spiedo si cuoceva ogni sorta di carne, che di Spiedo bresciano, inteso come preparazione del suo territorio ne esistono più versioni, che quello di Gussago, come quello di Serle, attuali De.Co. esistenti, ne rappresentano le versioni più semplici, insieme a quella cittadina, del capoluogo: spostandoci in lungo e in largo nella provincia, esclusa la Valle Camonica che pur cucinandolo non ne ha propria versione, lo spiedo cambia, si arricchisce, si trasforma. Da Brescia, Valtrompia e Bassa passando a una zona intermedia sulla gardesana sino alla Valle Sabbia con Salò e l’Alto Garda – la divisione è quella operata da Marino Marini nel suo La Cucina Bresciana – lo spiedo incontra gli animali da cortile, pollo, coniglio, le patate, l’anatra, il fegato di maiale avvolto nella sua rete…

Non mancano poi illuminati e creativi cuochi, bresciani, che hanno col tempo cercato, e trovato, non dei surrogati ma delle idee, dei prodotti altrettanto locali in grado di restituire quel perduto amore, scusate, amaro… Siate curiosi, il cibo, la sua vera storia, non conosce immobilismi.